A novembre 2024, circa sette mesi dopo la diagnosi iniziale, mi trovai di fronte a una decisione cruciale: iniziare o meno un trattamento attivo per il mieloma. Nonostante l’assenza di danni d’organo conclamati (nessuna frattura ossea, nessuna insufficienza renale), l’evoluzione strumentale della malattia era evidente e preoccupante.
Fu durante una visita di controllo che il mio ematologo mi consigliò “caldamente” di iniziare la terapia. Ricordo ancora le sue parole: “I numeri stanno peggiorando, le immagini mostrano una progressione. Possiamo ancora intervenire prima che si verifichino danni irreversibili”. Una raccomandazione che, come medico, comprendevo perfettamente dal punto di vista razionale, ma che come paziente mi costringeva a confrontarmi con una nuova realtà.
Mi venne proposto l’inserimento nel protocollo MN33, uno schema terapeutico moderno che prevede l’utilizzo di quattro farmaci in combinazione. Questo approccio, noto come quadruplice terapia, rappresenta una delle strategie più efficaci attualmente disponibili per il trattamento del mieloma, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia.
Prima di accettare, volli informarmi approfonditamente su questo protocollo. Studiai la letteratura scientifica più recente, consultai colleghi specialisti, cercai di comprendere non solo l’efficacia del trattamento ma anche il suo impatto sulla qualità della vita.
Volevo essere sicuro di prendere una decisione consapevole, basata non solo sulle raccomandazioni dei medici ma anche su una comprensione personale dei rischi e dei benefici.
Il protocollo MN33 prevede l’utilizzo di quattro farmaci con meccanismi d’azione diversi e complementari: un inibitore del proteasoma, un farmaco immunomodulatore, un anticorpo monoclonale e il cortisone ad alte dosi. Una combinazione potente, progettata per attaccare le cellule del mieloma da diverse angolazioni, aumentando così le probabilità di ottenere una risposta profonda e duratura.
La decisione di iniziare il trattamento non fu semplice. Significava accettare di sottoporsi a una terapia impegnativa, con potenziali effetti collaterali significativi. Significava modificare la mia routine quotidiana, adattare i miei impegni professionali, prepararmi a un periodo di maggiore vulnerabilità fisica. Ma significava anche prendere in mano attivamente il controllo della malattia, passare da una posizione di attesa a una di intervento.
Dopo settimane di riflessione, decisi di accettare la proposta terapeutica. Una decisione presa non solo sulla base di considerazioni cliniche, ma anche tenendo conto del mio desiderio di continuare a vivere una vita piena e attiva il più a lungo possibile.
Una volta presa la decisione, iniziò una fase di preparazione sia pratica che psicologica.
Dal punto di vista pratico, dovetti organizzare i miei impegni lavorativi in modo da poter gestire le sedute settimanali di terapia e i possibili giorni di recupero. Informai i colleghi più stretti della mia condizione, chiedendo la loro comprensione e supporto nei momenti in cui avrei potuto essere meno presente o efficiente.
Dal punto di vista psicologico, cercai di prepararmi mentalmente all’idea di diventare un paziente a tutti gli effetti, di sottopormi regolarmente a terapie in ambiente ospedaliero, di affrontare potenziali effetti collaterali. Lessi testimonianze di altri pazienti, partecipai a gruppi di supporto online, cercai di costruire un bagaglio di conoscenze ed esperienze che potessero aiutarmi ad affrontare al meglio il percorso che mi attendeva.
Un aspetto importante di questa preparazione fu anche la comunicazione con i miei familiari e amici più stretti. Decisi di essere aperto riguardo alla mia condizione e al trattamento che stavo per iniziare, spiegando loro cosa aspettarsi, come avrebbero potuto supportarmi, quali cambiamenti avrebbero potuto notare nel mio comportamento o nel mio stato fisico.
A gennaio 2025, due mesi dopo la decisione iniziale, iniziai finalmente il trattamento. Il primo giorno di terapia fu un mix di ansia e determinazione. Entrare in ospedale come paziente, sedermi sulla poltrona per la somministrazione dei farmaci, osservare il personale infermieristico preparare le infusioni: ogni momento di quella giornata rappresentava un passaggio simbolico importante, l’inizio concreto di una nuova fase del mio percorso con la malattia.
La prima somministrazione fu preceduta da un colloquio dettagliato con l’ematologo, che mi spiegò nuovamente il protocollo terapeutico, i potenziali effetti collaterali, le precauzioni da adottare. Mi venne consegnato un diario clinico su cui annotare eventuali sintomi o reazioni, e mi furono forniti contatti diretti da utilizzare in caso di emergenza o dubbi.
Ricordo vividamente il momento della prima somministrazione dei farmaci moderni, che avviene per via sottocutanea. Una sensazione fisica ma anche emotiva: stavo attivamente combattendo la malattia, non ero più in una posizione di attesa passiva.
C’era qualcosa di paradossalmente liberatorio in questo passaggio, nonostante l’ansia per le possibili reazioni avverse.
Le mattine passate in ospedale le ho trascorse al computer, lavorando e preparando gli interventi che avrei dovuto eseguire nei giorni successivi. Con le cuffiette per l’isolamento acustico e la musica di Mozart in sottofondo, riuscivo a creare una bolla di normalità e produttività anche in quel contesto ospedaliero, mantenendo così un legame con la mia vita professionale.
Le prime settimane di trattamento furono caratterizzate da un’attenta osservazione di ogni minima reazione del mio corpo. Ogni nuovo sintomo, ogni sensazione inusuale diventava oggetto di analisi: era un effetto collaterale dei farmaci? Era una manifestazione della malattia? Era semplicemente una coincidenza, un disturbo comune non correlato alla terapia?
Gradualmente, imparai a distinguere tra le diverse tipologie di effetti collaterali, a prevederne l’andamento temporale, a sviluppare strategie per gestirli. Un processo di apprendimento continuo, fatto di tentativi ed errori, di confronto con i medici, di ascolto
attento del mio corpo.
A chi si trova ad affrontare l’inizio di un trattamento per il mieloma, consiglio di prendersi il tempo necessario per prepararsi adeguatamente, sia dal punto di vista pratico che emotivo. Informarsi sui farmaci che verranno utilizzati, sui loro meccanismi d’azione, sui potenziali effetti collaterali è fondamentale per affrontare il percorso con maggiore consapevolezza e serenità.
Allo stesso tempo, è importante ricordare che ogni esperienza è unica: gli effetti collaterali descritti nelle schede tecniche dei farmaci o nelle testimonianze di altri pazienti potrebbero non manifestarsi nel proprio caso, o manifestarsi in forma diversa.
Mantenere un atteggiamento aperto e flessibile, pronto ad adattarsi alle circostanze, è essenziale per navigare al meglio questo percorso.

